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Ha ottenuto lo stipendio che desiderava!

Ho già raccontato diverse fasi di questo percorso di coaching che aveva l’obiettivo di ottenere un aumento di stipendio congruo con il suo ruolo e le sue responsabilità.

A gennaio dell’anno scorso avevamo raggiunto un aumento parziale, ma non era ancora l’importo che desiderava vedersi accreditare sul conto corrente ogni mese.

È stato il 22 settembre di quest’anno che ho ricevuto il suo messaggio che mi annunciava che l’aveva finalmente ottenuto:

“Got it! (Stipendio)”

Cos’abbiamo fatto in questi 9 mesi per arrivare all’aumento che desiderava?

Io stessa sono andata a ripercorrere a ritroso quei momenti e riconosco che sono stati tutti importanti.

Un uomo soddisfatto di avere ottenuto lo stipendio che desiderava.
Photo by Depostock/DepositPhotos

Gennaio: uno stipendio più alto non è solo questione di esperienza

A gennaio abbiamo fatto una sessione per prepararlo a gestire l’obiezione “lei è più esperta di te”. La “lei” in questione era la sua capa reparto che sarebbe andata in pensione a giugno. Secondo le aspettative dell’azienda, lui avrebbe dovuto prendere il suo posto (e le stesse responsabilità) ma guadagnando meno di lei. L’azienda giustificava questa aspettativa mettendo sul piatto il discorso “esperienza” come unico criterio per valutare quanto meritava lui.

L’obiettivo della sessione era che lui stesso iniziasse a focalizzarsi su “io, come lei, …” perché altrimenti non avrebbe avuto la forza necessaria per portare avanti la trattativa fino alla fine.

Febbraio: tirare fuori la voce

A febbraio, la capa reparto sempre più vicina alla pensione, ha accentuato i suoi messaggi catastrofistici: dopo di lei sarebbe venuta la fine, il nulla sarebbe avanzato, il disastro totale era imminente. Quindi lui doveva portare avanti la sua trattativa per il proprio stipendio mentre lei non perdeva occasione di far pesare la sua rilevanza e lanciava allarmi terroristici su quello che sarebbe successo da luglio in poi.

Sempre a febbraio si fa avanti in lui la consapevolezza di aver paura del contrasto. Chiedere l’aumento di stipendio lo metteva in una condizione spiacevole, gli faceva temere di farsi terra bruciata all’interno della dirigenza.

Essere assertivi, imparare a tirare fuori la propria voce, specie quando è stata repressa, è un percorso.

Tu passi da una posizione professionale in cui la tua voce non era rilevante a una posizione professionale in cui la tua voce sarà rilevante. Nel mezzo c’è questa fatica di “entrare in contrasto”.

Chi non ha avuto voce, fa fatica a tirarla fuori quando serve. Non sa come esprimersi, teme di sbagliare ad esprimersi, teme le conseguenze dell’esprimersi… In gran parte sono timori legati all’inesperienza.

Nel tuo caso, te lo ricordo, sono timori legati anche al fatto che non c’è ancora nessuna ufficializzazione.

Se tu vivessi tutto questo concedendoti di imparare ad esprimerti, non sarebbe così opprimente. Invece, vivi tutto questo con l’aspettativa irrealistica che tu sappia già fare, dimenticando il ruolo in cui sei stato relegato negli anni, dimenticando quanta voce ti ha tolto ******* negli anni.”

Maggio: reagire al secco “no!”

A maggio il mio coachee si ritrova ad affrontare l’ennesimo colloquio basato sul solito disco rotto, cioè le motivazioni per cui non può percepire lo stipendio che richiede.

Però ribatte suggerendo possibili benefit o premi che possano portarlo comunque a quella cifra. “Tocca anche suggerire”, è il suo commento quando mi scrive per raccontarmi com’è andata. Ma non è intenzionato a mollare.

Giugno: l’errore di sbagliare il luogo e il momento

È l’ultimo giorno della capa reparto che sta per andare in pensione.

Il mio coachee cerca di farsi formalizzare l’aumento prima di insediarsi lui stesso come nuovo capo reparto. Ma sbaglia il luogo e il tempo: affronta la dirigenza dentro l’open space, dove tutti possono assistere. La risposta della dirigenza è: “proprio oggi ne dobbiamo parlare che è il suo ultimo giorno?” e lui si sente in colpa.

“Una tigre a caccia (e tu sei a caccia del tuo aumento di stipendio) valuta le condizioni del territorio e della sua preda prima di lanciare l’attacco.

Cosa ti aspetti? Che lui si impietosisca perché hai sbagliato il momento per sferrare l’attacco e ti dica ”sì, certo, parliamone!”. Ma quello ti scappa dalle mani e ti fa pure sentire colpevole!

Mi promette che non sbaglierà più nel il momento né il luogo. E così è stato dopo questa lezione che credo non dimenticherà mai.

Primi di luglio: il peso della responsabilità senza l’aumento di stipendio

“Provo un mix di emozioni forti per quello che ho in mano. Cavolo sono responsabile di un reparto di 11 colleghi.  Il reparto più tosto dell’azienda, oltretutto.”

(E dire che io e lui avevamo iniziato a lavorare insieme perché volevano licenziarlo perché non era abbastanza produttivo. Quanta strada abbiamo fatto fino a questo momento!).

Gli faccio presente che non credo si renda conto di quanto è appesantito dal fatto che la questione stipendio non è ancora definita.

“Credo lavoreresti molto più sereno senza avere ancora quella battaglia aperta.

Invece, finché è aperta, vivi con la costante preoccupazione di dover dimostrare di meritare. Ancora. Nonostante tu sia già stato promosso e nonostante tu stia dimostrando da anni quanto sei capace. E forse è anche un po’ il loro gioco questo.”

Metà luglio: i colloqui fuori dall’azienda

A dire il vero, aveva iniziato a fare colloqui al di fuori della sua azienda già da qualche mese. Ma verso luglio si iniziava a stringere un accordo, anche se non c’era ancora nulla di formalizzato. La sua azienda tergiversava, un’altra cercava di averlo in squadra.

“Ho pensato che dovevo giocarmi la carta dell’altra azienda che mi ha chiamato anche se non mi ha ancora fatto un’offerta, pensavo che l’effetto sorpresa funzionasse.

Lui mi ha chiesto se mi hanno già fatto un’offerta economica.

Questo ha aperto un po’ la situazione, siamo arrivati a **** euro da subito, fine anno premio in base alla situazione dell’azienda e poi un discorso sul prossimo anno.

Bisogna essere soddisfatti, l’importante era ottenere qualcosa subito.”

Sì, c’era da essere soddisfatti. Soprattutto a me premeva che si fosse tolto di mezzo il peso della trattativa e potesse dedicarsi al suo lavoro con maggiore serenità. Però bisognava tenere duro fino a che tutto fosse stato formalizzato nero su bianco.

Primi di Settembre: ti sembra normale che io faccia così tanta fatica?

Passate le vacanze estive, il mio coachee torna a parlare dello stipendio con la dirigenza.

“È stata un’ora di botte e di pugni (ahah) sempre sulla questione stipendio. Me li danno ma sotto forma variabile (la differenza per arrivare a **** euro me la darebbero a fine anno). Ho mostrato poca contentezza. Mi sono alzato dalla sedia e stavo quasi per uscire. Mi è sembrata una presa in giro.

Sono rimasto lì, in piedi, vicino alla porta, proprio a dimostrare che ero poco disponibile ad avere un colloquio conciliante.

“Non posso essere contento. Per me essere contento è **** euro da subito. Perché devo aspettare dicembre per un arretrato. Poi? Da gennaio come funziona? Sempre nel limbo?”

Poi si stupiva perché ero stupito io. Fa proprio il buffone fino in fondo. Mi ero stancato del tira e molla.

“Senti, sono stato l’ultimo a essere trattato, come una pecora nera” e lui a negare.

“La proposta me l’avete fatta a ottobre dell’anno scorso, ci siamo ridotti a un mese e mezzo fa ma per colpa vostra, non per colpa mia.”

Poi ha tirato fuori la solita storia sull’esperienza.

E io gli ho detto: “Ancora?! Non siamo ancora capaci di distinguere quelle che sono le competenze di una persona da quelle che è l’esperienza di una persona? Io quella cifra lì, la merito.”

Mi ha risposto: “io ti posso promettere di stabilizzare la situazione a fine anno.” Sempre quelle promesse, sempre e solo promesse.

Paola, se non avessi saputo dello stipendio di ***********, poteva anche bene. Perché devo prendere come **********, che io ho delle responsabilità?

Morale della favola, non si è risolto nulla. Ti sembra normale? È normale che succeda tutto questo? Che io debba lottare così? Non penso proprio che *********** abbia lottato come me anche perché è qui in azienda solo da un anno.”

Leggo il suo messaggio e non so se essere più fiera di lui per quanto è stato solido sulla sua posizione o se passare direttamente a rispondere alla sua domanda. Scelgo la seconda opzione (i complimenti glieli faccio dopo che ha capito la sua fatica).

“Anche tu, mentre stai facendo altri colloqui, dichiari quanto prendi attualmente, quindi i dirigenti delle nuove aziende, se vogliono assumerti, devono farti un’offerta più vantaggiosa dell’attuale.

Ricordo un coachee che lo faceva apposta: circa una volta all’anno cambiava lavoro proprio per questo meccanismo per cui, mentre sei assunto, non puoi accettare condizioni peggiori (non hai niente da perdere, non sei in una condizione di pericolo/rischio per te stesso e accetti solo delle condizioni migliorative). Capisci che, se lo fai ogni anno, al 5°, 6° cambiamento hai fatto una serie di scatti economici importanti.

Io non so se anche la persona con cui ti confronti ha fatto un’operazione di questo tipo però tu stesso stai cercando di avere di più di quello che ti offrono in questo momento perché è giusto che sia così.

Poi tendenzialmente capita spessissimo che l’ultimo che arriva in azienda abbia lo stipendio più alto di chi è lì da 10/15 anni perché quello che è lì da 10/15 anni va avanti con il suo contratto. Hai visto anche tu tutto il lavoro che abbiamo dovuto fare su di te per farti prendere delle consapevolezze, per farti tirare fuori la voce, per farti capire come muoverti per avere di più. L’azienda tende a trattenerti in quella situazione in cui ti ha assunto perché non è vantaggioso tirare fuori altri soldi.

Oltretutto con te c’è anche quel discorso che hanno sempre fatto e che tu hai accettato perché è in linea con la tua mentalità per cui i sacrifici sono necessari prima di meritarsi qualcosa. Tu sei andato dietro a questa mentalità che, da un lato, ti ha comunque aiutato a crescere e a migliorarti, però dall’altra parte ha anche abituato loro ad averti senza darti in cambio un riconoscimento economico, un riconoscimento di livello, tutto quello che adesso stai chiedendo solo che adesso lo stai chiedendo tutto in una botta. Non li sto giustificando, sto cercando di rispondere alla tua domanda: perché faccio così tanta fatica?

Ci sono delle condizioni che ora sono date per scontate: lavori per noi, a questo stipendio, ti comporti in maniera responsabile anche se non ti abbiamo riconosciuto economicamente il ruolo.

Le persone a cui chiedi un aumento stanno cascando dal pero: “fino a ieri mi garantivi tutto questo senza che io dovessi sganciare un euro di più. Perché ora me lo chiedi?”

Penso che sia un vantaggio che tu sia a conoscenza che c’è qualcuno che ha uno stipendio più alto perché ti tira fuori la spinta a chiedere. Se tu non lo sapessi, chiederesti di meno perché scatterebbe la dinamica umile e invece, sapendolo, riesci a bypassare il discorso umiltà, e quindi inizi a pensare “se lo prendono loro, me lo merito anche io, anzi di più perché io ho anche delle responsabilità che loro non hanno”.

Fine settembre: Got it (stipendio)!

“Parlato con il titolare in presenza di ******.

Direi che tu hai molti meriti. La mia ricostruzione non si sarebbe mai realizzata senza il tuo abile scalpello.”

Il merito è di entrambi. Siamo una grande squadra, non c’è dubbio.

Riguardando indietro ogni fase mi sono emozionata. Mi sono accorta di quante risorse ha tirato fuori da lui questo percorso. Davvero è incredibile quanto potenziale c’era ingabbiato!

Il risultato raggiunto è importante, certamente, ma è una briciola in confronto alla sua crescita e a quello che potrà fare (compreso implementare un nuovo stile di leadership in azienda con un impatto positivo enorme sui suoi colleghi)!

Gioisco insieme a lui per questo risultato. E, lo ammetto, mi piacerebbe ci fosse un altro traguardo altrettanto ambizioso verso cui accompagnarlo.



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