“Mi sembra di non riuscire a influenzare e quindi cado nella trappola: “ma questa leadership ce l’ho? Se sì, come la uso?”
Prima che qualcuno inorridisca leggendo il termine “influenzare”, preciso che lei stessa non ne è un’amante.
A volte ci areniamo perché non sappiamo trovare le parole più appropriate per descrivere quello che vogliamo realizzare. Utilizziamo quelle che sentiamo più spesso abbinate a quel concetto (“influenzare”, in questo caso), ma qualcosa stride dentro di noi perché cozza con qualche nostro valore.
“Influenzare è una parola che non mi piace molto.
Influenzare sia scelte, che pensiero… tipo effetto “apertura mentale” che vorrei suscitare in loro.
[…]
Quando creo un “clima” positivo, di ispirazione e fiducia (fiducia non direttamente verso di me ma anche verso un sistema/sé stessi etc).”
Ho diversi altri coachee che si trovano quasi nella sua stessa condizione.
Più precisamente, questa:
“Penso che la leadership possa rafforzare la trasmissione dei valori della mia attività (ma non solo).”
A questo punto dobbiamo tornare a bomba, ripescare la domanda iniziale (“questa leadership ce l’ho?”) e capire se riesce a farsi un’idea di quanto è efficace.
Secondo una sua stima, il 60% delle volte riesce ad orientare le emozioni per trasmettere i valori della sua attività.
“C’è emozione, c’è ricerca della relazione, c’è chiarezza.”
Cosa succede con il restante 40%?
“Smette la cooperazione, quindi si attiva una specie di mio monologo.”
Ma come è arrivata a queste percentuali?
Abbiamo capito che usa l’azione o la reazione come misuratore della sua leadership.
“In pratica, prendi l’assenza di reazione di quel 40% e generalizzi quell’insuccesso (limitato a quel contesto e a quelle persone) alle tua capacità di leadership di cui finisci per domandarti se ce l’hai o no.
Un po’ come se, non riuscendo a fare una posizione di yoga, tu dicessi che non sei capace di fare yoga (in assoluto).“
È giunto il momento di migliorare.
Questa leadership ha bisogno di una sana provocazione:
“Quand’è che ti accorgi che non ne vale la pena?
Quand’è che smetti di cercare la relazione?”
Nel tempo, le sessioni con lei sono diventate così pragmatiche ed efficaci che non mi stupisco neppure più della velocità con cui asseconda i miei spunti:
“Quando mi sento banale. Quindi sono io a mollare. Proprio perché non c’è dialogo, quindi lo traduco in disinteresse. Se è disinteresse significa che c’è banalità? Disallineamento di valori? Poca chiarezza?
Il timore di essere banali può nascondersi anche dentro persone che, da fuori, non pare proprio possano contenerlo.
“Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla Personificato, questo non ha certo aiutato il mio senso dell’esistenza. Poi ho realizzato che l’esistenza in se stessa non è niente e mi sono sentito meglio. Tuttavia continuo a rimanere ossessionato dall’idea di guardarmi allo specchio e non vedere nessuno, niente.”
[da “La filosofia di Andy Warhol: Da A a B e viceversa” di Andy Warhol]
È pure vero che saper gestire quella critica che facciamo a noi stessi fa uscire dall’ordinario e (forse) conservarne un pochino è un modo per spronarsi continuamente a non esserlo.
Lei ha imparato a guardare oltre la critica in sé.
La parte complicata era questa che abbiamo fatto insieme, cioè passare da un situazione in cui le scivolava fra i pensieri (e la subiva) ad ora che l’ha messa a fuoco e può afferrarla e quindi gestirla.
“L’antidoto al timore di essere banale è il saper tirare fuori la mia unicità.”
Ma come può applicarlo al contesto di questa leadership?
“Entrando in relazione con loro, facendo esempi che possano suscitare empatia.”
Una risposta che può sembrare scontata, ma non lo è.
È facile essere empatici con chi è simile a noi.
È semplice parlare di valori e convinzioni con chi ha i nostri stessi punti di vista.
Ma quanti riescono a conservare il focus sull’empatia anche con chi ha idee molto diverse?
Pochi, diciamo pure pochissimi.
Quanti sono diventati brillanti lavorando su di sé e ora sono insofferenti con chi ha delle difficoltà solo perché non ricordano più com’era essere al loro posto?
Molti, diciamo pure troppi.
Eppure, se si vuole trasmettere un’idea, un valore, un insegnamento, un’ispirazione bisogna partire da lì: da un punto di contatto da cui cominciare per allargare la fiducia reciproca.
Ed è anche in questo modo di procedere che si vede l’unicità della leadership e di chi la sta esercitando: nel saper individuare quel punto di contatto.
La complessità in cui siamo immersi quotidianamente aumenta il bisogno di Leader di Alta Qualità.
Magari la loro spinta nasce da un’esigenza specifica nel loro business, ma l’impatto è molto più ampio e rende migliore ogni parte del mondo che riescono a toccare con la loro influenza.
Ormai è diventato un mio rito personale pubblicare un articolo su una vecchia sessione con lei quando abbiamo già fissato a breve il prossimo incontro: comincio a credere che serva a me per misurare la sua evoluzione e andarne fiera.