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Dire no al cliente sentendosi a proprio agio

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La libera professione richiede diverse capacità, alcune delle quali non sono strettamente legate alle competenze tecniche ma attengono più all’area delle soft skills. La gestione del rapporti con il/la cliente e saper dire no quando è necessario è una di queste. Soprattutto perché, come mi sento dire spesso, “io mi aspetto che la gente ci arrivi da sola a capire che…” e invece non sempre è così.

Io stessa mi sono ritrovata nella necessità di ristabilire i confini della mia disponibilità e della mia presenza fra una sessione e l’altra che, per mia scelta, è gratuita. Non volendo rinunciare a questo mio modo di operare che credo sia un elemento fondamentale per arrivare ai risultati, ho dovuto per forza di cose far presente che non dovevano abusare della mia generosità.

Ma sicuro ti interessa di più l’argomento della sessione con la mia coachee, un’architetta alle prese con una cliente che:

“Ha preso il comando, il controllo di tutto, non mi chiamava più, mi mandava messaggi: devi farmi il rendering di questo e di quest’altro”.

Era da tanto tempo che non lavoravamo insieme io e lei, ma siamo sempre rimaste in contatto. Inoltre, precedentemente, avevamo sempre fatto sessioni via telefono. Questa, invece, dietro sua proposta, era a video ed era per me una bellissima novità. Era proprio emozionante abbinare il suo viso alla sua voce.

(Credo di essere rimasta un paio di minuti un po’ imbambolata come avessi visto un’apparizione tanta era la felicità per il cambiamento)

La sensazione dell’obbligo alla prestazione eccellente

Si possono fare diverse ricerche sull’incapacità di dire no, affrontata da professionalità diverse. Si trovano anche molti libri e articoli sulle tecniche comunicative, sul “come” essere assertivi.

Ma quando c’è di mezzo la professionalità, essere disponibili e dire spesso “sì” ha un che di “naturale” e “ovvio” che rende difficile avere perfino consapevolezza del problema; la conseguenza è che magari ci si lamenta del cliente, magari si mandano giù bocconi amari ma non si giunge alla ricerca delle soluzioni (quei “come” che sono indubbiamente utili).

Ma lei ha intuito che qualcosa le sfugge e le rema contro.

Una donna a lavoro impara a dire no al cliente
Photo by Elnus_/DepositPhotos

“Sono spesso molto disponibile.
Non riesco a fare capire qual è il mio ruolo.
Non devo sempre dire “sì”.
C’è sempre questa cosa che devo sembrare prestante.”

Lo sappiamo. La nostra società ci chiede di essere performanti. La richiesta diventa ancora più pressante quando siamo libere professioniste e ogni cliente può incidere (positivamente o negativamente) su fattori come le nostre finanze, la nostra reputazione, il passaparola. La pressione alla prestazione c’è ed è palpabile.

Ma c’è anche altro quando si parla di donne, competenze e di essere all’altezza del compito:

“C’è un’enorme quantità di opinioni maschili concordi nell’affermare che intellettualmente da una donna non ci si poteva aspettare niente. Anche se suo padre non leggeva ad alta voce quelle opinioni, qualunque ragazza poteva leggerle da sé; e questa lettura, anche nel XIX secolo, deve avere diminuito la sua vitalità e pesato profondamente sul suo lavoro. Ci sarebbe stata sempre quell’affermazione – non puoi fare questo, non sei capace di fare quello – contro cui lottare, da invalidare.

[Tratto da “Una stanza tutta per sé”, Virginia Woolf]

Fra competenza e aspettative stereotipate

Dalle donne ci si aspetta spesso che siano gentili, accoglienti, disponibili, comprensive. Allo stesso modo, l’assertività da parte di una donna è vista spesso come una caratteristica negativa proprio perché va contro questa immagine del suo comportamento ideale.

Se questa aspettativa è limitante nella vita in generale, lo è ancora di più nella libera professione in cui si dovrebbe avere la mente concentrata sulla realizzazione di ciò che è stato commissionato.

“Dovrei imparare un attimino non dico a mettere dei muri però a far capire qual è il mio ruolo e quello dell’altro.
Quei no che non si dicono all’inizio e vengono poi pretesi dopo.
Sono troppo disponibile e poi, quando mi fanno stancare, sbotto e magari risulto maleducata, non ho più peli sulla lingua.”

La concorrenza con gli altri che rende difficile dire no

“Forse all’inizio siamo partiti pure bene.
La incontravamo una volta alla settimana.
Tra vederci e sentirci, tutta la settimana era dedicata a lei.
Nel momento in cui ha firmato l’incarico e ha dato un anticipo, si è sentita in diritto.”

Pur sapendo che ogni rapporto è unico e diverso da cliente a cliente, le esagerazioni sono sempre il segnale di qualcos’altro che non va. Mi viene spontaneo chiedere se sia così con tutti i clienti.

“Lei si è posta come se fosse in difficoltà, non si fidava dell’altro architetto, il tempo stringeva, la difficoltà a trovare un’impresa… A un altro cliente no, non lo vediamo così spesso, ci diamo più tempo a elaborare un progetto.”

Eccola lì, la competizione fuorviante. Quella leva che il cliente, più o meno consapevolmente, spesso attiva.

Da un lato lusinga l’ego, dall’altro sposta l’attenzione sulla competizione con il collega anziché continuare a tenere gli occhi fissi sul cliente, sulle sue esigenze, sul modo in cui sta prendendo in mano il rapporto e lo sta dirigendo dove vuole.

Quando gli altri mettono addosso il senso di urgenza

La mia sensazione è che la cliente abbia costruito una narrazione basata sul “dramma” per metterle pressione.

Le faccio notare che “mettere pressione”, quando non ci sono reali condizioni di urgenza, può essere una tecnica manipolativa che serve a costringere l’altro a decidere velocemente senza fare troppe valutazioni.

“Sì, tendeva sempre a gonfiare, … Man mano che la conoscevo, usciva fuori il suo carattere, fisicamente ti fai l’idea, sempre a criticare, parlare male, … a un certo punto ho pensato: sicuramente adesso sarò io l’elemento da criticare!

Non avevo il tempo di ragionare.

Ho sempre questa tendenza a dare subito la risposta, per dire io sono preparata, lo so, e invece devo prendermi i miei tempi, ragionare e poi esprimermi.

Devo abituarmi a entrare in questa consapevolezza.”

I suoi presupposti per dire no

Su questo passaggio le rimando un feedback: durante la sessione faceva spesso il gesto di toccarsi gli occhiali quando doveva un attimo riflettere su qualcosa.

“Questo è un segnale che tu fai a te stessa per ricordarti che devi prendere tempo. Poi si tratta di esternarlo.”

Le chiedo in quali condizioni si sentirebbe serena di poter dire no a una cliente.

“Quando c’è la certezza della fiducia.
Se avverto che c’è empatia con il cliente, mi sento a mio agio, sicuramente sarebbe più facile dire “aspetta”.”

Quindi fondava la sua sicurezza (“posso dire “no”, sono all’altezza del compito”) sul rapporto di fiducia che riusciva a costruire con chi è molto simile a lei. Il problema era che, quando aveva a che fare con clienti molto diversi da lei, il clima di fiducia era più fragile. Si ritrovava quindi senza “fondamenta” alla sua sicurezza professionale, tartassata dal cliente e finiva per dire, sì, ma senza peli sulla lingua e mettendosi contro il cliente.

Giungiamo alla conclusione che, per farla stare serena, può “fondare” i suoi “no” sulla sua “serietà” perché quando si trova lei dalla parte della cliente, se un/a professionista le dice che ha bisogno di pensarci, lei lo considera un atteggiamento di grande serietà che la fa sentire nelle giuste mani.

L’ultima parte della sessione la passiamo a fare simulazioni. Io le descrivo una situazione realistica e lei si immagina nella nuova veste di professionista che sa gestire la pressione del cliente.

I risultati

Lascio passare qualche settimana prima di ricontattarla e chiederle come sta andando. La sua risposta, com’è nel suo carattere, è positiva seppure cauta e misurata. È un atteggiamento che rispetto e mi piace perché è spesso il presupposto per ulteriori miglioramenti.

“Sto imparando a dedicare il giusto tempo ai clienti, rispondo con i miei tempi. Se mi mandano messaggi o mi chiamano aspetto di essere completamente libera da altri  impegni. Sono abbastanza soddisfatta, con un cliente ho dimostrato un certo distacco, nel senso che prima ero più presente insieme al mio socio ma mi rendevo conto che perdevo tempo andando dietro a persone che alla fine non ascoltavano quindi adesso sto alla giusta distanza impiegando il mio tempo a fare altro. 

Con un’altra cliente sto organizzando le cose da fare con i miei tempi. Insomma come mi hai insegnato tu cerco di procedere in modo “serio” prendendomi il tempo necessario per fare le cose come si deve. So che ancora ho molto da migliorare, ma intanto sono abbastanza soddisfatta.

Se ci fai caso ho fatto lo stesso anche con te! 

Ti rispondo dopo con calma, me ne sto rendendo conto solo ora!”

Sì, l’avevo notato dalle tempistiche che erano cambiate. In altri tempi, mi avrebbe risposto subito. Sono stata fiera di lei perché con quel semplice tempo lasciato passare prima di rispondermi, mi ha dimostrando che stava applicando.

Quali costi ha non saper dire di no

Torno un attimo sulla questione “libera professione” e “saper dire no” perché ha dei costi che non sono sempre immediatamente visibili e, come dicevo all’inizio, viene “naturale” dire “sì” forse a causa di quel vecchio motto che dice che “il cliente ha sempre ragione”.

Credo che ogni professionista possa fermarsi e chiedersi:

  • Come mi sento quando vorrei dire “no” o “non adesso” e non riesco?
  • Quali ambiti della mia vita vengono penalizzati ogni volta che non riesco a dire “no” o “non adesso”?
  • Cosa succede all’interno del rapporto con il/la cliente quando non so dire “no”?
  • Perché è importante che io riesca a dire “no”? Quali vantaggi porterebbe alla qualità del mio lavoro? Come cambierebbe la percezione della mia professionalità?
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