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A pieno diritto sei una parte vitale del gruppo

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Verso metà dicembre ho ricevuto una foto da una mia coachee. Il mio primo pensiero è stato: “Uh! Che bello! Nonostante sia così riservata, ha voluto condividere questo momento con me!”. Il secondo pensiero è stato: “Ma guarda che sorriso che ha!”. Il terzo pensiero è stato: “Ehi! Finalmente sente di far parte del gruppo a pieno diritto!

L’immagine che ho ricevuto ha richiamato alla mia memoria un’altra foto: quella di Marie Curie al Congresso Solvay del 1911, primo congresso internazionale di fisica.

Marie Curie partecipa a pieno diritto alla conferenza Solvay
Marie Curie è l’unica donna. © Creative Commons

Non dev’essere stato facile arrivare a far parte a pieno diritto di quel gruppo. Lei era nata nel 1867, era determinata a studiare ma dovette trasferirsi a Parigi per potersi laureare (a Varsavia, dove era nata, il genere femminile non era ammesso all’università).

Dietro la foto

Le foto hanno questa caratteristica: immortalano un momento omettendo tutti i passaggi che sono stati necessari per arrivarci. Cristallizzano l’attimo e chi non sa cosa c’è dietro potrebbe avere l’impressione che quel successo sia piovuto dal cielo.

Per questo motivo non è irrilevante andare a recuperare il livello di partenza, ogni momento in cui è stata avvertita la fatica e ogni fase di scoraggiamento perché aggiungono valore al traguardo.

Nella foto che mi ha mandato la mia coachee ci sono 13 individui: 11 sono in piedi, fianco a fianco, mentre 2 sono accovacciati davanti come capita spesso quando si cerca di far entrare tutti nell’inquadratura.

12 di loro sono uomini, una di loro è lei, la mia coachee sorridente.

È sorridente in questa foto, ma questo viaggio con me iniziò con lei che affermava “Io non mi sento parte di quella struttura” e stava ipotizzando di uscire dal team perché

“Mi sto perdendo l’occasione di dimostrare che valgo qualcosa.
Quando si fa una domanda, non si rivolgono mai a me.
Nessuno mi guarda.
Nessuno mi guarda perché sono incapace e non ho esperienza o perché fondamentalmente io sono veramente incapace?”

Ed eccola qui, in questa foto che tengo aperta sul mio smartphone mentre butto giù questo articolo e mi accorgo che ancora non la guardano, ma perché non ce n’è bisogno: lei è e si sente parte del gruppo. In compenso la guardo io e mi commuovo per il gesto e per il valore dell’immagine in sé.

Non c’è quell’atmosfera cupa del congresso di Solvey, né quella posa seriosa. Gli uomini hanno un abbigliamento informale. Lei ha un vestito nero, appena sotto le ginocchia, leggermente scollato. Non deve più dimostrare di valere perché si percepisce: tutti i presenti riconoscono le sue capacità.

Fra la partenza e l’arrivo

Se avessimo potuto scattare la foto della “partenza”, lei avrebbe avuto l’espressione spaesata di chi pensa (e davvero lo pensava): “Che ci sto a fare? Tanto che ci sia o non ci sia non cambia nulla.”

Se la mia coachee oggi volesse rivolgersi alla professionista che lei era qualche anno fa, potrebbe rincuorarla dicendole: “ti smentirai. Smentirai te stessa. Che tu ci sia o non ci sia, cambia moltissimo.”

In quella lontana sessione concordammo che era necessario cambiare punto di vista.

Mi manca un po’ di esperienza di cantiere.
Fare domande.
L’andare là ed essere presente.
Sta a me e all’interesse che ci metto nelle cose.
Ogni volta dico: dal prossimo cantiere.

Abbiamo trasformato “dal prossimo cantiere” in “da questo cantiere”. E abbiamo trasformato “non mi sento parte di” in “anche io sono una parte di…” fino all’attuale “a pieno diritto faccio parte di…”

Probabilmente, a questo punto, anche tu inizi a renderti conto del valore di questa sua foto che non ti mostro per rispetto della sua privacy.

In un altro articolo che le ho dedicato (“il diritto di far parte come tutti gli altri”) concludevo così:

“Non siamo ancora al traguardo finale. Un giorno si sentirà importante, indispensabile, determinante. Questo era il primo passo, fondamentale, da cui iniziare questo bellissimo viaggio. In fondo, è un suo diritto sentirsi ed essere una grande professionista!”

Avevo lanciato la mia profezia e avevo ragione a crederci fermamente.

A pieno diritto, anche di non fermarsi

A novembre ho avviato la newsletter “Donne e soldi: potere e libertà” (qui trovi la prima uscita) e ho visto scattare in lei qualcosa.

Fin dalla prima sessione, il nostro coaching si era rivelato subito “poco stringente” nel senso che gli incontri online sono molto, molto radi e raramente mi sottopone questioni per avere feedback specifici. Ha bisogno di tempo per metabolizzare, ha bisogno di far della fatica da sola, ha bisogno di provarci da sola prima di “arrendersi” e dirmi: “dammi una mano a sbloccare questa fase”. E va benissimo così.

Visto il suo carattere, quella newsletter è stata per me l’occasione di uno scambio più frequente con lei. Ne sono stata felicissima.

Ogni settimana pubblicavo una nuova lettera e lei commentava. Io avevo la sensazione che fosse ogni volta più “accesa”; ogni settimana acquistava più energia, aveva nuove intuizioni e un rinnovato entusiasmo da spendere.

Io sento che stiamo andando oltre all’obiettivo di “sentirsi in diritto di esserci”. Stiamo varcando la porta del “diritto di non fermarsi” (ai traguardi raggiunti, ai successi raggiunti, ai ruoli raggiunti). Se vuoi, chiamalo “diritto di non accontentarsi”.

Siamo appena entrate in una fase espansiva di lei.

Un giorno riceverò da lei altre 2 foto. Molto probabilmente, nella prima che riceverò ci sarà lei con il suo team di collaboratori (che desidera e ancora non esiste); nella seconda ci sarà lei dentro quell’appartamento che ha adocchiato (che non è ancora suo). Dubito che l’ordine delle foto sia invertito, ma magari mi stupisce. Invece, non ho alcun dubbio sul fatto che le riceverò, come testimonianza di altri obiettivi raggiunti.

(Ho lanciato un’altra profezia, lo so. Non so smettere di credere nel potenziale che ancora deve tirare fuori)

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