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Stare al passo dei propri sogni

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“Gli altri mi sembrano tutti più avanti di me. Non riesco a stare al passo. Nella mia mente c’è il confronto e vado in frustrazione.”

Mi ricorda una canzone:

“Mama maé prega perché

il mondo va più veloce di me!

Controsterzo, sbando e vado di fuori 

Cercando di seguire piloti migliori.”

[“Mama maé”, Negrita]
Stare al passo degli altri ma focalizzati sul proprio obiettivo.
Photo by Dimon Blr on Unsplash

Verissimo che questo mondo va velocissimo, anche in questi giorni in cui tutto sembra paralizzato. Vero che gli altri possono sembrare piloti migliori che bisogna raggiungere e superare. Difficile è trovare quell’equilibrio che consente di capire la loro tecnica di andatura senza farsi destabilizzare emotivamente dai loro risultati (sbandando dal proprio percorso, perdendo tempo per riconcentrarsi).

Non riesco a concentrarmi sulle mie cose e rimango ancora più indietro.”

Sì, può succedere. Il confronto con gli altri può essere paralizzante.

Ora che ha raggiunto questa consapevolezza, in questa sessione di coaching cerchiamo di fargli conservare l’aspetto positivo del confronto, portando avanti il suo obiettivo.

Fase 1. Conservare l’ispirazione che arriva dagli altri

“Allora ero più tradizionalista.
Ferran, invece, era più incline a provare di tutto.
Dovetti darmi una svegliata.
Dovetti evolvermi per andare alla stessa velocità.

Albert Adrià

Siamo nell’ambiente degli chef, della cucina molecolare, della sperimentazione. Ogni anno vengono attribuite quelle stelle Michelin che misurano il valore, stabilendo chi si è distinto di più rispetto agli altri.

Cosa fa Albert?

I suoi occhi sono prima sul fratello (a cui riconosce dei meriti) poi su di sé (che deve darsi una svegliata ed evolversi per stare al passo).

“Dusty, Jones, Newton e Cerutty: tutti loro avevano affrontato i limiti dei loro corpi e delle loro menti per cercare di crearne di nuovi.

[…]

Sapevo di voler sconfiggere altri runner, ma per farlo avevo bisogno di misurare i miei progressi solo contro me stesso, non contro gli altri.”

[Da “Eat&Run”, Scott Jurek]

Qui siamo nel mondo dell’ultrarunning, gare superiori alla maratona (42,195 km) ma molto, molto superiori. Come se non bastasse la quantità di km, si cercano anche ambienti ostili (deserti, dislivelli, …) in cui la vita in sé è a rischio.

Cosa fa Scott?

La stessa cosa di Albert. Prima gli occhi sono sugli altri (da cui si lascia ispirare) e poi su di sé (escludendo gli altri).

Fase 2. Stare al passo focalizzandosi sul misurare se stessi

Gli altri possono ispirare l’andatura, la distanza, un obiettivo nuovo.

Una volta presa consapevolezza del gap, di quanto gli altri sono più avanti (in termini di idee, capacità, risultati già raggiunti) è necessario tornare a focalizzarsi su di sé e trovare un sistema per misurare i propri progressi.

Può sembrare strano affermarlo, ma i numeri possono essere grandi amici delle emozioni.

Le domande per il mio coachee:

“Come puoi misurare i tuoi progressi?

Quale parametro ti interessa misurare?

Quale strumento ti può aiutare a registrare questi dati?”

Gestire i propri dubbi

Durante il cammino si potrà sentire in affanno. Aumentare l’andatura richiede un impegno superiore, a cui corpo e mente non sono (ancora) abituati. I progressi potranno sembrare troppo lenti. Potranno esserci cadute che lasceranno ferite che faranno dubitare della sua capacità di reggere il passo che ha deciso di tenere.

Anticipiamo quel momento tirando in ballo un altro concetto:

“Un commento che sentii fare a una persona del pubblico dopo una mia conferenza illustra quanto sia difficile distinguere i ricordi dalle esperienze. Lo spettatore disse di avere ascoltato estasiato una lunga sinfonia su un disco che, essendo graffiato vicino al bordo finale, aveva prodotto un suono orribile verso il termine dell’esecuzione, e riferì che quella brutta conclusione “gli aveva rovinato l’intera esperienza”. Ma non era realmente rovinata l’esperienza, bensì solo il ricordo. Il sé esperienziale aveva vissuto un’esperienza quasi del tutto positiva, e il cattivo finale non poteva annullarla, in quanto era già accaduta. L’uomo che mi aveva interrogato aveva dato all’intero episodio una valutazione negativa perché era finito molto male, ma quella valutazione in realtà non teneva conto di quaranta minuti di estasi musicale. L’esperienza reale non conta dunque nulla?

Confondere l’esperienza con il ricordo che se ne ha è un inesorabile illusione cognitiva, ed è la sostituzione a farci credere che un’esperienza passata possa essere rovinata. Il sé esperienziale non ha voce. Il sé mnemonico a volte si sbaglia, ma è quello che segna i punti, gestisce quello che apprendiamo dalla vita e prende le decisioni. Dal passato in realtà impariamo a massimizzare le qualità dei nostri futuri ricordi, non necessariamente della nostra futura esperienza. Questa è la tirannia del sé mnemonico.”

[da “Pensieri lenti e veloci”, Daniel Kahneman]

Non è molto diverso dal concetto che il viaggio conta più della meta.

Volendo, questa è una spiegazione scientifica che aggiunge ulteriore senso a un approccio filosofico.

Una caduta non cancella l’apprendimento durante il percorso, né le piccole soddisfazioni quotidiane, né l’essersi superato anche se di poco. Soffermarsi sulla caduta significa dare troppo potere al sé mnemonico.

Un modo per velocizzare il proprio passo è smettere di cadere nei tranelli della propria mente, facendosi aiutare da strumenti di misurazione che ci aiutino a essere più obiettivi, creando così lo spazio per lasciar emergere le emozioni incoraggianti.

Per stare al passo dei propri sogni, esprimendo quel potenziale che gli altri ci hanno sfidato a tirare fuori.

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