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Cosa mi piace abbastanza da farne un mestiere?

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“Ci sono molte attività che mi interessano, ma nessuna mi piace abbastanza da vederla come un lavoro. Cerco di identificare un interesse ma poi mi dico: “stai con i piedi per terra”.

La sensazione che io ho è che ci sia qualcosa ma non riesco a vedere. Mi sembra sempre di guardare dalla parte sbagliata. Non lo vedo!

Sono stanchissima di questo stallo. Non mi annoio perché qualcosa da fare lo trovo, ma non è quello che mi realizza. Mi sento vuota, persa. Se dovessi visualizzare il mio lavoro ideale, vedo una stanza, un ufficio mio, da sola perché mi piace stare molto nel mio. Non mi sento in una situazione i cui ho dei soci, ma con delle collaborazioni sì. Non mi piace star lì ad aspettare. Mi piace il lato creativo e comunque ci devo mettere anche il lato intellettuale. Non voglio sottostare a delle regole, ma se trovo qualcosa da sviluppare riesco a darmi delle regole. Ho paura di buttare via un talento che non riesco a vedere qual è.

Da non mi piace abbastanza al percorso professional per farne un mestiere
Photo by Volha Flaxeco on Unsplash

Ricordo questa sessione di coaching con il duplice punto di vista di chi sa com’è andata a finire (mesi dopo) e che, invece, in quel momento non sapeva cosa sarebbe accaduto. Né io né lei sapevamo quale fosse quel talento, in effetti.

Però mi incuriosiva quel “non mi piace abbastanza” che mi pareva un ago puntato contro un palloncino che si stava gonfiando, pronto a farlo esplodere per impedirgli di volare.

Era un filtro che le faceva scartare quasi tutte le ipotesi. Si salvavano quelle che richiedevano un investimento di tempo e di risorse tale che potevano solo restare a livello di interesse personale e non diventare una professione per davvero.

Quindi ho lanciato un’ipotesi/provocazione:

Possibile che tu abbia idealizzato il “mi piace abbastanza” (e l’entusiasmo che porta con sé)?

Era come se avesse 3 stanze mentali.

  • La prima in cui raccoglieva la categoria “non mi piace abbastanza” e neppure sapeva cosa c’era davvero dentro perché non superava la soglia del suo interesse.
  • La seconda in cui c’era la categoria “mi interessa” e sapeva già essere impraticabile nella sua realtà: non avrebbe potuto diventare una professione.
  • La terza in cui avrebbe dovuto esserci il “mi piace abbastanza” ma di fatto era vuota perché era idealizzata.

Abbiamo concordato che bisognava cominciare a guardare nel dettaglio cosa c’era in quelle stanze. Lì cominciava la strada che ci portava a vedere quel talento che in quel momento era nascosto chissà dove.

Ricordo il file che le mandai con alcune indicazioni e che mi tornava indietro aggiornato diligentemente ogni giorno, tenendo fede a quello che mi aveva detto nella sessione conoscitiva:

“Non voglio sottostare a delle regole, ma se trovo qualcosa da sviluppare riesco a darmi delle regole.”

Da quell’esercizio è nata la quarta stanza che soddisfaceva un requisito per lei fondamentale: “essere autentica”.

In che modo mi fa essere autentica?  Come può contribuire al mio essere autentica?

Poi c’è stata una mia osservazione.

Le ha fatto notare una sua caratteristica che mi sembrava stesse dando per scontata (e non lo era affatto!).

Quel talento che non vedeva era (è!) dentro ai suoi occhi. Risiede nella sua capacità di guardare e nel suo senso estetico!

Ma era (è) così parte di sé che non riusciva a riconoscerlo come talento su cui fare leva per la sua professione.

Da lì ci sono stati altri approfondimenti per capire in quale settore venisse davvero valorizzato, esercizi per coltivare una mentalità improntata sul feedback, un corso professionale, un aggiornamento della comunicazione della sua immagine.

Fino ad arrivare a quel biglietto da visita: nome, cognome, professione, contatti.

Un giorno, nella mail riepilogativa post sessione, le scrissi:

“Ora io dico una cosa che può sembrarti strana e sei anche libera di non credermi, ma stamattina, quando mi hai detto che ti tremavano le gambe, stavano tremando anche a me. Curioso davvero!”

Me l’aveva detto come segnale positivo. Come se le gambe avessero capito che era quella la strada da percorrere ed erano pronte a farlo, anche se in quel momento era ferma davanti a un pc.

Mi ero accorta anche io delle mie, ma non gliel’ho detto lì sul momento. Volevo che continuasse ad ascoltare se stessa, il suo “essere autentica”.

“Ricordate: iniziate ogni giorno portando a termine un compito. Trovate qualcuno che vi aiuti nel corso della vita. Rispettate tutti. Sappiate che la vita non è giusta e che spesso fallirete. Ma se correte qualche rischio, se reagite nei momenti più difficili, se affrontate i prepotenti, vi schierate con gli oppressi e non rinunciate, mai e poi mai… se fate queste cose, allora potrete cambiare la vostra vita in meglio… e forse anche il mondo!”

[tratto da “Fatti il letto”, Ammiraglio William H. McRaven]
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