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Fuori dal cliché per produrre innovazione

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Vive fuori dal cliché. Per la maggior parte del tempo ne va fiero. Si scalda e si infervora nel raccontare la sua passione. Si sente fiero di sé quando qualcuno gli confessa: “non conosco nessun altro come te!”

Persone obiettivi e ragionamenti fuori dal cliché

Photo by Karina Carvalho on Unsplash

Nella sua città d’origine lottava contro un certo tipo di stereotipi.

Si sentiva così estraneo e veniva percepito così estraneo che gli chiedevano: “da dove sei uscito fuori?”

Nella città che l’ha adottato è agevolato sotto molti punti di vista. Ed era esattamente questo a cui puntava: un ambiente favorevole per realizzare le sue ambizioni.

All’epoca gli proposi di fare un lavoro di analisi del contesto, chiedendosi quali erano le sue esigenze e incrociando i dati sulla qualità della vita dei luoghi in cui avrebbe potuto trasferirsi.

Al suo solito, fu molto preciso e meticoloso.

Provo un certo gusto anche io ripensando alla paura di sbagliare che aveva allora, prima di decidere, e alla soddisfazione che lui stesso manifesta adesso quando si dice: “devo riconoscermi che sono stato bravo. Ho scelto bene”.

Perseguitato dal cliché

Ma, c’è sempre un “ma”.

E questi “ma” lo irritano terribilmente.

Dev’essere l’intensità del contrasto a far richiamare alla memoria degli altri proprio i cliché in cui lui non rientra e in cui non vuole rientrare.

“Per essere un… non sei…”

Pensano di fargli un complimento e lui, che ce l’ha a morte con quel modo di pensare pieno di pregiudizi, si incarognisce e sbuffa anche se si trattiene dall’esplodere e replicare a tono come vorrebbe.

Dopo, fra sé e sé, entra in difficoltà perché quelle situazioni gli fanno sentire il peso del suo stare costantemente fuori dagli standard mentali. Allora anela a una vita “normale”, a una relazione “facile”, a una strada liscia liscia liscia, pattinabile come una lastra di ghiaccio su cui andare veloce e arrivare presto.

“Un cliché? È una parola francese, credo che in origine fosse un termine tipografico. Quando si stampa una frase, si devono prendere le lettere separatamente e metterle una per una in una specie di sbarra scanalata per comporre la frase. Ma per parole e frasi che la gente usa spesso, il tipografo tiene piccole sbarre di lettere già bell’e pronte. E queste frasi già fatte si chiamano clichés.

[…]

Sì, è la stessa cosa. Tutti noi abbiamo un bel po’ di frasi e di idee bell’e pronte, e il tipografo ha sbarre di lettere bell’e pronte, tutte ben sistemate in frasi. Ma se il tipografo vuole stampare qualcosa di nuovo, per esempio una cosa in una lingua straniera, dovrà disfare tutte quelle vecchie disposizioni di lettere. Allo stesso modo, per pensare idee nuove e dire cose nuove, dobbiamo disfare tutte le idee già pronte e mescolare i pezzi.”

[Tratto dal libro “Verso un’ecologia della mente”, Gregory Bateson]

A volte scorda che il suo obiettivo professionale è composto di poche parole “bell’e pronte”.

La strada finora è stata faticosa perché sentiva che poco di sé combaciava con gli standard eppure doveva convivere o scendere a compromessi con gli standard.

Vuole emergere e vuole lasciare il suo segno nel mondo. Ma si scontra con i limiti dell’ambiente in cui vuole ritagliarsi il suo spazio.

Lo metto spesso in allerta sulla sua fretta di concludere perché lo rende mentalmente rigido.

Quando non riesce ad andare veloce diventa melodrammatico; disperde energie cercando di rientrare dentro cliché di cui non vuole davvero far parte, ma in quel momento di stanchezza, gli sembrano più facili da vivere.

“So che questa è una società della prestazione in cui bisogna concludere a ogni costo, aggiungere medaglie e trofei alla propria teca personale.
Eppure ci sono trofei che hanno bisogno di più tempo per essere conquistati perché non esistono ancora. Si chiama innovazione. L’hai scordato?”

Quando soffre per i tempi lenti che deve tollerare, dimentica che sta innovando.

“– Ma papà, il tipografo non mescolerà tutte le lettere, no? Non le mescolerà tutte in un sacco per poi scuoterle. Le metterà una per una ai loro posti… tutte le a in una scatola, tutte le b in un’altra, e tutte le virgole in un’altra e così via.

– Sì, è vero. Altrimenti diventerebbe matto a cercarne una a quando ne ha bisogno.”

[da “Verso un’ecologia della mente”, Gregory Bateson]

Il suo progetto ha un nome che lui stesso si è inventato. Nessun cliché lo prevede.

Non esiste una strada già tracciata. Ogni tanto interseca altre vie e può sfruttarne un pezzo.

Gli serve il tempo per scegliere le lettere e comporre la sua parola.

“Da buon tipografo, come puoi organizzare meglio i pezzi?”

Capisce subito cosa intendo.

Significa:

  • cercare altri modelli di riferimento da cui trarre ispirazione;
  • frequentare persone altrettanto fuori dai cliché per sentirsi meno solo nelle sfide quotidiane;
  • sviluppare capacità che finora ha ammirato solo nella teoria senza metterle in campo nella pratica.

Un giorno capirà che le difficoltà di questo momento erano dovute al fatto che stava sceneggiando la sua storia attraversando

“Una zona priva di cliché dove l’ordinario diventa straordinario.”

[da “Story”, Robert McKee]
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