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Le figuracce trasformate in occasione per migliorare

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“Faccio figuracce, una dietro l’altra. Non ne posso più.”

Ha la voce dolce e i toni garbati.

In questo mondo urlato e cafone, lei è la cortesia che lascia stupefatti quando la riconosci perché è diventata sempre più rara.

Mi riesce difficile credere alla sua versione dei fatti. Ma metto da parte questo pensiero fugace che rischia di distrarmi dal suo racconto.

Descrive la giornata di una giovane donna che commette disattenzioni sul lavoro, a cui seguono lamentele o arrabbiature dei clienti, richiami dai superiori e critiche dai colleghi.

Da quando si è attivata questa sequenza negativa si alza al mattino chiedendosi:

“Quali figuracce farò oggi?”

La sera, dopo essere stata condannata da tutti, indossa lei stessa la toga del giudice nel processo alla sua sbadataggine.

Io e lei conosciamo la ragione della sua disattenzione: quel posto è provvisorio, un passaggio obbligato per mantenersi mentre cerca il “suo” lavoro, quello che le piace, quello su cui l’attenzione e la precisione le vengono spontanee senza dover ricordare a se stessa: “stai attenta!”.

Ma nel frattempo deve trovare un modo per vivere con meno stress queste giornate, per evitare le figuracce o, almeno, reagire meglio quando capitano.

A nessuno piace lasciare un’impressione negativa o sbagliata.

Del resto “impressionare” significa:

“Suscitare in qualcuno una reazione sufficiente alla formulazione di un giudizio sia pur generico o provvisorio.”

Dizionario della lingua italiana Devoto Oli

La consapevolezza del giudizio che riceve è benzina sul fuoco.

La fa sentire in imbarazzo di fronte agli altri mentre dentro di sé soffoca l’urlo: “cosa ci faccio io qui?!”

Come reagisce alle figuracce fa la differenza sul modo di evolversi degli eventi.

Se dopo una figuraccia “sceglie” di giudicarsi, perde il controllo della situazione, fa errori su errori, entra in un tunnel negativo che accresce il numero delle figuracce e la sua insicurezza.

“Che cosa accadrebbe se dopo una figuraccia scegliessi di sdrammatizzare?”

Al solito, la sua voce manifesta irritazione perché le ho detto qualcosa che sa già di dover fare. Oltretutto sa che avrebbe dovuto fare feedback invece di passare gli ultimi istanti della giornata a rimproverarsi.

Quindi, per ogni situazione di cui non è soddisfatta:

Cosa ho fatto e non avrei dovuto fare?

Cosa non ho fatto e avrei potuto fare?

L’invito a fare un esercizio insieme.

Prendiamo l’ultima figuraccia che ha fatto e comincio a chiederle:

“Come avresti potuto sdrammatizzare?”

Propone una soluzione. Non è male, ma può fare meglio.

Ancora e ancora.

Da sola non lo farebbe mai. Si fermerebbe alla prima prova, convinta che è un esercizio inutile e che non funzionerà sul momento.

La faccio riprovare ancora e ancora.

Ad ogni sdrammatizzazione diventa più abile.

Lo scenario da cui partiamo è sempre lo stesso, ma la sua mente comincia a provarci gusto.

La sua voce si fa allegra, i toni diventano leggeri.

Immagina la complicità che può creare con il suo interlocutore, si diverte a far dimenticare l’errore e capisce che può lasciare l’impressione di una persona umile e simpatica, che ha sbagliato e se ne assume la responsabilità. Ma di lei resta impresso solo il sorriso.

Ha imparato a scegliere meglio come reagire alle figuracce.

Imparare a sdrammatizzare le figuracce

Photo by Angel Jimenez on Unsplash

Questa era una sessione di qualche mese fa, che non ho raccontato prima per la mia solita scaramanzia quando le operazioni sono ancora in corso.

Nel periodo successivo non ne ha più menzionate.

Ho notato che sono sparite dai suoi resoconti e non ce ne siamo più dovute occupare.

Abbiamo trasformato le figuracce:

  • in un’occasione per migliorarsi;
  • in una spinta ad essere ancora più incisiva nella ricerca del nuovo impiego, invece di avvilirsi e rassegnarsi (come stava facendo).

Ora, la sua voce dolce e i suoi toni garbati vengono ascoltati in un altro ambiente di lavoro, nel “suo” lavoro, quello che ha sempre voluto, con un contratto a tempo indeterminato.

Un piccolo miracolo in quest’Italia che dà così poco a lei e a i suoi coetanei.

Ma né io né lei abbiamo mai smesso di credere che fosse possibile.

Avevamo ragione.

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