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I nuovi ricordi di cui ho bisogno (su ispirazione di Oliviero Bellinzani)

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Si può essere stanchi di vecchi ricordi, specie se sono dolorosi. Per creare nuovi ricordi e diversi serve molto coraggio.

“Se si vuole ottenere molto bisogna essere disposti a pagare molto, soltanto così è possibile entrare dentro le cose, oltre l’apparenza, fino a viverle, a sentirle come proprie, persi in una dimensione atemporale.

È l’infinito che irrompe, pretende il suo spazio e da piccola parte di un mondo a noi esterno, d’un canto ci si trova partecipi di un tutto, tanto da poter avvolgere in un unico abbraccio l’universo intero.”

Oliviero Bellinzani

Chiedo ospitalità a Paola, poiché credo che il suo blog sia un luogo adatto per condividere questo video e, più in generale, una riflessione sulla disabilità accolta, sfidata e vinta:

Il video narra la storia di Oliviero Bellinzani: un uomo che ha saputo inseguire i suoi sogni, sogni che volavano alti, dimostrando, con i fatti e con la sua vita, che i limiti sono solo nella testa.

Lo scorso 22 agosto il vento lo ha portato via con sé. Via, a rincorrere altri sogni, a scalare altre cime, a raggiungere altri obiettivi, altre vette, altre mete.

A me ha lasciato in eredità una grande lezione di vita.

Già, ci sono uomini e incontri che lasciano in noi “sogni” e “segni”.

Superare i propri limiti per vivere nuove esperienze e nuovi ricordi

Troppo spesso la parola “handicap” (e uso questo termine per scelta – i miei ragazzi lo sanno bene: l’handicap è nella testa!) viaggia a braccetto con la parola “cronicità” che significa che non c’è scampo, che non c’è via d’uscita. E allora che faccio?

Mi siedo e aspetto la morte trascorrendo un’esistenza passiva in cui tutti gli altri, ma proprio tutti (familiari, servizi sociali, educatori, medici, psichiatri…), scelgono e decidono per me.

E quando l’handicap è congenito puoi solo immaginare lontanamente cosa sia la “normalità”: sei l’etichetta che ti hanno affibbiato, sei la cartella clinica che qualcuno ha smesso di trascinare in giro per te… tanto non c’è speranza.

Ma Emanuele, 50 anni, oggi con ostinazione senza pari, mi ferma e vuole che io capisca. Non accetta l’approssimazione: non dice una parola completa (qualche parolaccia si, in verità, quelle ce l’ha fatta ad impararle!).

Chiede sia sancito il suo sacrosanto diritto ad essere ascoltato: prende le schede con le immagini, improvvisa una scenetta in cui tutti i presenti diventano attori, sollecita le nostre domande per aiutarci a comprendere meglio, mima con enfasi i suoi “sì” e i suoi “no”.

Tutto aiuta a fare chiarezza…

Poi va… col sorriso sulle labbra: quel sorriso da vincitore.

Già, Emanuele ha vinto la cronicità che lo ingabbiava: ora non ha più paura dell’incontro con l’altro.

Quel suo modo strano di comunicare attira simpatie. Lui, che è un dritto, se ne è accorto e parla con chiunque lo interessi o si interessi a lui, in particolare con tutte le commesse del supermercato, alle quali elargisce complimenti e grandi sorrisi mentre mi sussurra:

“Soso, è boo!”

[Sonia questa è una bellezza!]

Le discipline sportive sono tante, tantissime… quella di Emanuele si chiama “comunicazione” e ogni volta che comprende di essere riuscito a spiegarsi si sente il campione del mondo.

Cosa cambiare per costruire nuovi ricordi?

Pochi giorni fa Emanuele mi ha confidato che è stufo marcio dei suoi vecchi, dolorosi ricordi.  Fra l’arrabbiato e lo sconsolato mi ha detto:

“Io palle otte… tutto.”

E insieme abbiamo cercato di trovare una soluzione.

Gli ho chiesto cosa potevamo cambiare, cosa potevamo inventarci che portasse una ventata di novità e, al tempo stesso, non lo spaventasse troppo.

La prima risposta è stata:

“Tutto, tutto!”

Quel suo famoso tutto che significa tante cose, ma che io non sono ancora in grado di decifrare pienamente.

Ho ribattuto:

“Emanuele, tutto è forse troppo, da qualche parte dobbiamo pur cominciare”.

E lui ha risposto:

Io via

Già, forse è proprio questo. Emanuele che, per paura, non si è mai allontanato un giorno da ciò che gli è familiare, ha bisogno di prenderne le distanze e di fare nuove esperienze.

Se vuole nuovi ricordi, deve ingaggiare nuove sfide con se stesso e vincerle.

Perché solo le sfide, le battaglie vinte diventano bagaglio, diventano memoria: memoria buona che guarisce le ferite.

Poteva essere il momento giusto per lanciargli una sfida che avevo in cuore da tempo e gli ho fatto una proposta che lui ha accettato con entusiasmo.

Ai primi di Settembre ci faremo uno splendido giro sul Lago di Como, rimanendo fuori a dormire per una notte.

Voglio vederlo col vento sulla pelle e il sorriso sulle labbra, mentre vince un’altra battaglia, quella che lo metterà in competizione con i “normali” e so già che saran “.azzi”, perché lui ha un fisico bestiale!

E so già che mi darà del filo da torcere!

Ho ripreso a camminare con maggiore impegno, sto allenandomi, sto preparandomi, perché voglio farcela con lui: per me e per lui.

Voglio farcela perché Emanuele, come tutti noi, ha diritto a nuovi ricordi: ricordi che hanno il sapore della vittoria.

Molti sorrideranno pensando che questa “impresa” è poca cosa, ma se non vi siete mai seduti a tavola con le mie sfide, non giudicate le mie vittorie!

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